Capita che quando si ascolta della musica in radio, al passaggio di alcune canzoni non bisogna fare altro che alzare il volume e sperare che lo speaker non entri sul brano proprio nel momento di un bel riff di chitarra; in tal caso è d’obbligo bestemmiare tutti i santi del paradiso e invocare l’oscuramento immediato delle frequenze. Se poi si ascoltano gli AC/DC e un brano come Back in Black, per prima cosa bisognerà fare i complimenti a chi ha stilato la programmazione musicale e in secondo luogo sperare che chi trasmette il pezzo abbia il buon senso di non interromperlo prima del tempo, perché Back in Black sono poco più di 4 minuti di rock allo stato puro, dove in fase di ascolto non è inusuale che un pettine diventi un microfono e che una scopa si trasformi magicamente in una chitarra.

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Per capire il successo degli AC/DC bisogna pensare che sono uno dei pochi gruppi rock che ha rotto il duopolio musicale dominato sostanzialmente da Gran Bretagna e Stati Uniti. La band formatasi a Sydney negli anni ’70, conobbe un successo senza precedenti con Back in Black del 1980, che tra le altre cose fu usata come title track del disco che ha venduto ben 50 milioni di copie in tutto il mondo, uno dei vinili più acquistati in assoluto per la Recording Industry Association of America, secondo solo a Thriller di Michael Jackson.

L’album uscì in un periodo decisamente delicato per il gruppo che aveva subito la morte del cantante Bon Scott il 19 Febbraio del 1980. Bisognava trovare un sostituto e si narra che quando Bon Scott era invita avesse ascoltato in un pub la voce di Brian Johnson che all’epoca si esibiva con una band sconosciuta. Scott fu talmente colpito da Johnson che disse ai suoi compagni che nel caso fosse venuto meno per qualche ragione, la miglior scelta per gli AC/DC sarebbe stata quella di prendere Brian Johnson come nuova voce; a quanto pare aveva proprio ragione.